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Europa a corto di nascite, una minaccia per l'economia

Immagine del redattore: giorgio grecogiorgio greco

Nell’articolo di oggi torniamo a parlare di nascite e demografia, un tema che spesso non riceve la giusta attenzione.

L’Europa, infatti, sta affrontando un momento di svolta sul fronte demografico. Il costante calo delle nascite, ulteriormente accentuato negli ultimi anni, solleva interrogativi sulla sostenibilità del modello economico e del welfare del vecchio continente.





Secondo i dati più aggiornati di Eurostat, lo scorso anno nell’UE sono nati 3.665.000 bambini, una cifra mai così bassa da quando vengono raccolte statistiche comparabili, vale a dire dal 1961.


Questo dato segna un calo del 5,5% rispetto al 2022, la riduzione annua più marcata mai registrata. Le stime demografiche di lungo termine dell’ufficio statistico dell’UE prevedevano inizialmente 4 milioni di nascite nel 2023, un numero già modesto, ma che appare ora perfino ottimistico. Guardando alla storia recente, il confronto con gli anni Sessanta è impressionante: i territori che oggi formano l’Unione Europea arrivavano a registrare quasi 7 milioni di nati ogni anno, mentre ora ci si trova poco oltre la metà. Il tasso di natalità europeo si avvicina a quello degli Stati Uniti, anch’essi alle prese con dinamiche simili, ma il contesto del vecchio continente rende la situazione particolarmente complessa, poiché al calo delle nascite si somma un progressivo invecchiamento della popolazione, con possibili ripercussioni importanti sulla capacità di garantire spesa sociale, pensioni e sanità.



Population rate 1997 - 2007


Il sistema fiscale potrebbe subire contraccolpi significativi, poiché la riduzione dei contribuenti renderà più difficile mantenere standard di vita adeguati e competitività sul piano globale. L’avvertimento non è nuovo, ma l’Europa sembra ora di fronte a una realtà che non è più rinviabile: il futuro economico dipende anche dalla capacità di mantenere un equilibrio intergenerazionale.

Le motivazioni che spingono le coppie ad avere sempre meno figli non possono essere ridotte a una singola causa. I fattori tradizionalmente citati, come i mutamenti culturali, l’urbanizzazione e l’emancipazione femminile, si intrecciano con una serie di nuovi elementi di incertezza. Numerosi giovani europei faticano a entrare stabilmente nel mercato del lavoro, a trovare un alloggio a prezzi accessibili e a sentirsi sufficientemente sicuri dal punto di vista finanziario per progettare una famiglia. I ventenni e i trentenni di oggi sono cresciuti in un contesto segnato dalla grande crisi finanziaria del 2008, dalla pandemia da Covid-19, da tensioni geopolitiche e da un aumento dell’inflazione che non si vedeva da una generazione.


La sensazione di precarietà si è accentuata per effetto delle tensioni internazionali, come il conflitto in Ucraina o i timori sul futuro energetico ed economico dell’Europa. La questione ambientale, con i cambiamenti climatici che rendono meno prevedibile il futuro del pianeta, può avere un impatto significativo sulle decisioni di allargare la famiglia. Alcune coppie, di fronte a incertezze di questa portata, scelgono di rinviare o limitare il numero di figli.

A tutto ciò si aggiunge il dato sull’età media al primo figlio, che sfiora ormai i 30 anni, rispetto ai 28,8 del 2013. Cresce anche la percentuale di nascite da madri con più di 40 anni, passata in un decennio dal 2,5% al 6%.


Questo slittamento in avanti dell’età in cui si diventa genitori deriva spesso dalla volontà di raggiungere prima una relativa stabilità lavorativa ed economica. La fertilità femminile non è però illimitata, e anche se i progressi medici hanno permesso di allungare leggermente il periodo riproduttivo, restano limiti biologici invalicabili.

Il calo delle nascite non è uniforme in tutta l’Unione. In Italia, Spagna, Grecia, Polonia, Finlandia e negli Stati baltici la contrazione dell’ultimo decennio supera il 25%. Questi Paesi stanno affrontando una condizione particolarmente dura, poiché la combinazione di precarietà lavorativa, difficoltà economiche, costi della vita elevati e welfare non sempre adeguato rende l’idea di mettere al mondo un figlio più ardua da concretizzare. La perdita di un dinamismo demografico condiziona già ora le prospettive economiche di questi Stati, destinati a confrontarsi con popolazioni sempre più anziane e a dover trovare soluzioni innovative per mantenere la crescita e la stabilità sociale.

La domanda cruciale riguarda le possibili strade per affrontare una situazione che rischia di trascinare l’Europa in una spirale di minor crescita, spesa sociale insostenibile e perdita di competitività. Alcuni esperti sottolineano che le politiche migratorie potrebbero compensare il calo della popolazione nativa. Aprire canali di ingresso legali e selettivi per lavoratori qualificati, ad esempio, può offrire una valvola di sfogo a breve termine, garantendo un rinnovamento della forza lavoro e contribuendo al mantenimento della produttività. Resta il fatto che questa non è una soluzione che agisca sulle cause profonde della denatalità, ma piuttosto un rimedio parziale a un fenomeno strutturale.

Diventa essenziale puntare su un aumento della produttività e sul rafforzamento della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Se la popolazione attiva diminuisce, diviene fondamentale aumentare il contributo di chi lavora. Per farlo, è necessario investire in istruzione, formazione continua, tecnologie e innovazione. Accanto a questo sforzo, risulta prioritario creare un ambiente che faciliti la nascita e la crescita delle famiglie. La presenza di servizi educativi e sanitari accessibili, misure per il sostegno psicologico dei giovani, politiche per favorire l’occupazione stabile e abitazioni a prezzi più contenuti aiutano a restituire fiducia nel futuro.

Offrire congedi parentali ben studiati, accesso a nidi e scuole materne di qualità, incentivi fiscali per i genitori e misure per equilibrare carriera e vita privata può fare la differenza. Alcuni Stati del Nord Europa hanno sperimentato con discreto successo programmi di welfare familiare avanzati, riuscendo a stabilizzare, se non ad aumentare, il tasso di natalità. Un approccio integrato, che agisca contemporaneamente su istruzione, mercato del lavoro, alloggi, sanità e politiche familiari, risulta il più promettente per prevenire l’ulteriore declino demografico.

La demografia non è un destino già scritto, ed esistono margini di manovra per influenzare le tendenze. Agire sui fattori chiave che determinano le scelte di avere un figlio richiede volontà politica, investimenti mirati e una visione a lungo termine. Il tempo non gioca a favore di chi sceglie di ignorare i segnali d’allarme. Meno nascite oggi significano meno lavoratori domani e meno risorse per sostenere una popolazione anziana in aumento. La questione non si riduce a cifre e percentuali, ma chiama in causa il modello di società che si intende costruire per le generazioni future.

L’Europa, di fronte a questa sfida, non può limitarsi a prendere atto del fenomeno. Si rende necessario un cambio di passo per rimettere al centro le nuove generazioni, offrire loro opportunità e rassicurazioni concrete, promuovere condizioni in cui la scelta di avere figli non sia vissuta come un salto nel vuoto, ma come un passo naturale in un percorso di vita sereno e sostenibile.

Il richiamo dei dati di Eurostat non deve essere considerato un mero esercizio statistico. Si tratta di un invito a guardare in faccia la realtà e a intervenire con politiche coerenti, senza indugi. Il momento di affrontare il calo delle nascite è ora, prima che le conseguenze sul tessuto economico e sociale diventino difficilmente reversibili.


L’Europa possiede le risorse, l’intelligenza, l’esperienza storica e la capacità di innovare per dare forma a un futuro in cui la natalità non sia più un tema emergenziale ma un elemento naturale di una società equilibrata e proiettata al domani.


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